I PRINCIPI

accoglienza dei minori a rischio di devianza  

I principi fondamentali a cui si ispirano l’Associazione Amici di CEARPES nel proprio lavoro sono i seguenti:


a.    la terapia di milieu;

b. l’ottica del “doppio livello”;

c. la multidimensionalità dell’ intervento;

d.    la dinamicità e flessibilità della struttura;

e. l’individualizzazione della proposta educativa e/o di trattamento;

f.     la visione empirica della comunità ed il confronto con la realtà;

g. l’educazione/riabilitazione di abilità sociali/autonomia.

a.   La terapia di milieu: uno degli strumenti principali che la comunità utilizza per stimolare il cambiamento è il favorire il più possibile la partecipazione dell’ utente alla vita quotidiana  del gruppo d’inserimento. Per questo, ad esempio, nei programmi psicologico–riabilitativi l’obiettivo iniziale, oltre all’osservazione ed al contenimento, è il recupero (o l’incremento), nei limiti delle possibilità del singolo, della capacità partecipativa del soggetto, come premessa all’acquisizione (od al potenziamento) di competenze comunicative, relazionali e sociali.

Inoltre, la “terapia ambientale” implica un altro aspetto importante, ovvero che la presa in carico dell’utente, durante la sua permanenza, riguardi tutta la ct. e non solo un singolo od alcuni operatori, per quanto specializzati: di qui deriva il rilievo dato ad ogni attività effettuata dall’ospite e ad ogni relazione da esso stabilita. In sintesi: nella terapia di comunità il fattore psicologico è disseminato all’interno dell’intero setting comunitario e non risiede solo all’interno dei settings clinici tradizionali.

Tale modello, di presa in carico globale, da una parte offre una grande ricchezza di informazioni, dall’altra comporta una notevole complessità di gestione, legata soprattutto alla necessità di garantire una coerenza ed un coordinamento fra gli interventi (vedi anche il concetto di multidimensionalità dell’intervento).

b. Ottica del “doppio livello”. Le comunità dell’Associazione Amici di CEARPES lavorano su due livelli: la cura dell’ospite e la cura del gruppo (senza la quale la prima non sarebbe possibile). In particolare, sul piano della relazione utente–struttura, ciò si traduce nella continua negoziazione fra due diverse esigenze: da una parte quella dell’ identificazione con i bisogni dell’utente, che implica gli interventi di protezione, “accudimento”, sostegno (codice materno), dall’altra quella della salvaguardia dell’ambiente educativo/psicologico, che comporta la strutturazione di regole e la messa in atto di divieti, allo scopo di difendere dall’impulsività dei singoli il benessere dei membri del gruppo e dell’istituzione, nonché di contenere le proiezioni ed i comportamenti aggressivi degli ospiti per aiutarli a costruire propri limiti e confini (codice paterno).

Ciò è in linea con i principi teorici e metodologici della “Terapia di Comunità” ed in particolare con quanto espone Tom Main (1983) a proposito del “contenimento del caos e della tensione”, come una delle funzioni della Ct.


c. La multidimensionalità dell’intervento. Essa viene intesa da noi in una doppia accezione: multidimensionalità relativa all’ambiente e multidimensionalità relativa all’individuo. In base al primo significato, la comunità, nell’ottica (già citata) della presa in carico globale, svolge un intervento educativo e/o psicologico–riabilitativo che tiene conto del lavoro non solo sul singolo soggetto, ma anche sui gruppi in cui l’individuo è inserito (cfr nel capitolo successivo, il concetto di lavoro di rete).

In base alla seconda interpretazione, ad ogni ospite viene offerta la possibilità di una serie di interventi diversi, riguardanti aree specifiche di vita (cfr. capitoli successivi sulle undici aree in cui si articolano potenzialmente i percorsi comunitari): tali interventi sono concepiti e gestiti da équipes multidisciplinari, la cui composizione può presentare differenze a seconda delle comunità.

Concetti affini a quelli sopra esposti sono  visione della comunità come una struttura complessa, con aree–chiave e livelli multipli: in essa la dimensione clinica si riflette e si interseca continuamente nell’organizzazione. dllala  comunità . pertanto risulta costituita dai seguenti elementi in interazione reciproca:

·     Ambiente fisico

·      Equipe - Staff – Risorse umane

·     Educazione - Terapia - Riabilitazione

·      Diritti – Salvaguardia dei Confini – Contenimento

·      Organizzazione Tecnica - Politica – Protocolli - Procedure – Processi di qualità

·     Lavoro di rete

·     Coesione e integrazione degli interventi;

-l’attenzione ad uno stile unitario di lavoro da parte di tutte le figure coinvolte (pur con ruoli e funzioni chiaramente distinte tra loro, ciò allo scopo di evitare scissioni antieducative ed antiterapeutiche);

-l’attenzione allo sviluppo ed all’uso di un linguaggio e di un sistema operativo di base comuni a figure appartenenti a discipline diverse.

d. La dinamicità e flessibilità della struttura: la comunità non viene da noi concepita come una struttura statica e definita in modo chiuso, essa deve essere piuttosto dotata di una coerenza interna flessibile, che le permette di modificarsi, secondo chiari meccanismi stabiliti al suo interno (es. le discussioni dell’équipe, dello staff, i vagli della Commissione Qualità ecc.), a partire dall’elaborazione critica di feedback, interni ed esterni. In tal modo essa, da una parte, può adattarsi maggiormente all’offerta ed alle richieste dei Servizi, dall’altra può effettuare continue verifiche e revisioni della metodologia usata, promuovendo la crescita professionale degli operatori ed accrescendo la qualità delle prestazioni. Dunque, sia le procedure organizzative, sia le stesse “motivazioni teoriche” non sono date una volta per tutte, ma vengono continuamente riviste, sulla scorta delle questioni che si aprono e del lavoro di riflessione effettuato.

Concetto affine è quello dell’approccio empirico ai problemi comunitari.

e.   L’individualizzazione della proposta educativa e/o di trattamento: per ogni utente si struttura un programma di intervento individualizzato con attività specifiche in relazione agli obiettivi individuati dall’equipe legati all’osservazione delle sue necessità prevalenti. A tal proposito si rimanda al capitolo relativo al “programma individualizzato”ed alle “attività”.

f.  Visione empirica della comunità e confronto con la realtà: tale principio è importante sia perché, come già accennato, il modello comunitario viene continuamente rivisto sulla base della pratica, sia perché nelle ct. L’Associazione Amici di CEARPES assume rilevanza l’analisi dell’esperienza quotidiana e l’apprendere dall’esperienza (vedi il concetto bioniano di “living learning”, che implica la promozione del confronto e della responsabilizzazione dei singoli membri a partire dai propri comportamenti quotidiani), sia perché nella stessa costruzione e verifica dei percorsi educativi e/o psicologico–riabilitativi viene scelto il ricorso ad indicatori concreti (“le attività”).

h. Educazione/riabilitazione di abilità sociali/autonomia. In altri termini la comunità ha una funzione ri-abilitativa nel senso di abilitare l’utente a riprendere ad apprendere attraverso esperienze maturative. Si propone cioè di riattivare il processo di sviluppo e di crescita psicologica in relazione agli aspetti psico-emotivo-affettivi disfunzionali e problematici. Ciò è in linea con quanto scrive T. Main (1946): “il fine immediato di far partecipare pienamente tutti i propri membri alla vita quotidiana è il fine ultimo di risocializzare l’individuo e prepararlo per la vita nella società ordinaria”.